giovedì 19 giugno 2014

"Panu", di Juhani Aho, ed. Vocifuoriscena

«Se in origine i nostri avi possedevano una migliore concezione di Dio e della sua  influenza sul mondo, progressivamente questa scienza si stemperò in un ammasso confuso di superstizioni che finì per dominare l’era del paganesimo.»  Elias Lönnrot

Il romanzo Panu (1897) costituisce un caso letterario affatto unico non solo nella parabola creativa di Juhani Aho, ma nell’intero panorama della letteratura nordica coeva: l’accostamento sinfonico tra romanzo storico (eminentemente sviluppato dal conterraneo Mika Waltari) e atmosfere del racconto gotico (Charles Robert Maturin) in una prospettiva espressiva che, spontaneamente, tocca gli scorci della prima letteratura fantasy (Robert Ervin Howard), particolarmente pronunciati e sorprendentemente «tolkieniani» nelle raffinate descrizioni di riti e superstizioni del paganesimo baltofinnico. 



Scrive Paolo Emilio Pavolini: «eccoci all’opera più vasta e complessa di Aho, il suo grande romanzo d’ispirazione kalevaliana. Erano gli anni in cui dal poema nazionale attingevano scene e motivi il sommo pittore Gallén-Kallela e il sommo musicista Jean Sibelius. Aho vi si preparò con un viaggio nella Carelia russa (estate del 1892), con lo studio delle opere del Lönnrot e di Julius Krohn, con indagini sulla tecnica del romanzo storico, fino ad allora nuovo, o quasi, nella letteratura finnica. 
Nello sfondo pittoresco del paesaggio nordico, tra le foreste nevose e i laghi gelati, fin nelle estreme lande della Lapponia, fra usanze strane e passioni violente, in contrasti di luce e di tenebre, si muovono, insieme con altre secondarie ma tutte potentemente scolpite, le figure di Martti Olai, il pastore di anime, l’apostolo del cristianesimo sorgente, e quella dello stregone Panu, il genio malefico che attraversa con tutti i mezzi e con tutti i delitti l’opera generosa del suo irresistibile rivale: la lotta fra la magia morente e la fede cristiana nascente.» Ed ancora Edoardo Roberto Gummerus: «Panu è una sorta di romanzo archeologico, etnologico ed etnografico, esaltazione del mito del Kalevala. Carico di dettagli, esprime anche una nuova valutazione dell’epopea nazionale, ben diversa da quella dei nazional-romantici di cinquant’anni prima. Anche per questa ragione l’opera ebbe entusiastiche accoglienze». 
Con l’esergo di Lönnrot, Aho apre il suo dramma escatologico, il crepuscolo di una civiltà che, già perduto da tempo il proprio carattere distintivo, l’esercizio lirico come equilibrio tra natura e potere della parola, si apprestava a ricevere il verbo nuovo, quello di Ristin Jeesus, «Gesù della Croce», accolto dal verace panteismo popolare in un sincretismo originale e variopinto, appena tollerato dalla chiesa di Roma e duramente represso all’avvento riforma protestante. 
Lo scetticismo di Aho soffonde d’umanità il carattere manicheo della battaglia all’ultimo sangue tra luce e tenebre: il verme della superstizione striscia fin nelle fondamenta della chiesa ma il pastore Martti Olai, sordo alle voci di quel popolo indocile, mal comprende le ansie della moglie e solo troppo tardi capirà che anche il chiaroscuro della foresta selvaggia, quel grigio-verde pallido e inquietante che ricorre nelle sinestesie del romanzo, è esso pure parte del disegno divino.
Ciò che più sorprende nel libro è la moderna densità antropologica della narrazione e l’attualità delle riflessioni su temi centrali della sensibilità umana: la virtù del rapporto tra civiltà e metafisica è il risultato dell’incontro non solo tra religioni e tradizioni ma tra razze e codici etnici diversi: la culla d’una civiltà multiculturale ante litteram ai confini più ignoti dell’Europa. L’ambita magia di Reita il vecchio è frutto della sua unione con una donna lappone, come i bei capelli scuri della figlia Annikki e l’amore di Kari verso la schiava  forestiera sono segnacoli di un’etica archetipica, una pietas ribelle tanto forte da frantumare il totem della cultura primitiva come il fragore del feticcio che il pastore scaglia contro l’albero sacro annullando il carisma dell’impostore per soppiantarlo con la grazia liberatrice. 

Marcello Ganassini



domenica 15 dicembre 2013

Il titolo è l'ultima cosa

Un romanzo nato quasi per scherzo, tra scambi di idee a tarda ora e - come di regola - tantissimi punti di disaccordo.
Poi i personaggi ci hanno conquistato, e Il titolo è l'ultima cosa ha finito per essere un libro dove sono confluiti umani dubbi, voglia di giocare, riflessioni filosofiche, tocchi di surrealismo e una onnipresente carica di ironia.
Ed ora scusate, ma tocca fare spazio alla copertina. 



Il colore dello sfondo non è solo una bizzarra scelta del nostro editore: questo romanzo, oltre a rivelare come vengono create le barzellette, è anche un giallo, sebbene sui generis: l'investigatore è un totale incapace, che si crede erede di Poirot, filosofeggia malamente alla Maigret e ricorda, anche se in minore, un Clouseau. Andando a tentoni e tra innumerevoli gaffe, non riuscirà a capire nulla e saranno invece i due protagonisti, Melissa e Tommaso, a ricomporre i vari puzzle disseminati nel romanzo.
Abbiamo scelto di ambientare le vicende negli anni Settanta, sia per una sorta di nostalgia, sia per la convinzione che a guardare il presente dal passato lo si possa capire meglio. Insomma, immaginate questo libro come un faro che, posizionato circa trentacinque anni addietro, vada a illuminare il mondo di oggi, spiegandone alcune ombre.
Tutto no, non siamo capaci.

Per i regali di Natale, o anche per un regalo a voi stessi, potete acquistare Il titolo è l'ultima cosa direttamente sul sito della Edizioni PerSempre.
Per seguire la pagina Facebook, andate su "Il titolo è l'ultima cosa".

P.S. Per l'ambientazione negli anni Settanta è stato un duro lavoro ad informarci, visto che all'epoca non ero ancora nata, e nemmeno Dario, sebbene lui ancora ragioni come una specie di hippy ritardatario.

giovedì 5 settembre 2013

Come smettere di stirare in due settimane



Questo breve "manuale romanzato" è nato praticamente su richiesta. Mio marito, meglio conosciuto come Vecio Sacca, da tempo mi suggeriva di scrivere un libro che parlasse della mia proverbiale avversione per il ferro da stiro. 
A dirla tutta, non è solo lo stirare ad angustiarmi, ma un po' tutte le faccende domestiche. Unica eccezione, cucinare. Lì mi diverto e mi diletto pure ad inventare nuove ricette, con un discreto successo nella cerchia delle mie amicizie e soprattutto tra i miei figli, che sono in assoluto i miei più severi giudici. Per il resto, tutto mi è di peso. 
Così, poco per volta, ho sviluppato delle difese immunitarie all'incombere delle faccende domestiche. Per molte di esse, ahimè, non ho trovato ancora una soluzione. Ma per quel che riguarda lo stirare, mi sento piuttosto avanti, una vera esperta, tant'è che ho smesso da più di quindici anni.
Premetto che non è mai stata mia intenzione, scrivendo questo piccolo romanzo, convincere qualcuno ad abbracciare il mio credo. So che certe abitudini restano radicate oltre ogni ragionevolezza. 
Mi sono limitata a segnalare, in modo ironico ma soprattutto autoironico, alcuni tediosi luoghi comuni (non necessariamente legati allo stirare) che rendono inutilmente faticosa l'esistenza, a scapito di altre più gradevoli attività e anche del buon umore. Non so voi, ma io dopo aver stirato per un paio d'ore ero da ricovero in neuropsichiatria, e questa mia frustrazione andava a ripercuotersi su chi mi stava intorno, rendendomi una moglie insofferente e una madre pochissimo paziente. Mentre adesso quel tempo posso dedicarlo ai miei figli, a leggere, a scrivere, e la vita mi sembra di nuovo degna di essere vissuta.
Dunque, se qualcuno pensa che, leggendo questo libro, verrà minato in uno dei suoi capisaldi del concetto di civiltà, può dormire sonni tranquilli: muterà abitudini, smettendo di stirare, solo chi dentro sé ha già maturato l'idea che stirare sia del tutto inutile, una colossale perdita di tempo.
Ma, in entrambi i casi, posso garantirvi qualche ora di spassoso divertimento alle mie spalle, perché - pur con qualche guizzo di fantasia - tutto quel che troverete scritto è successo davvero.

Presento Come smettere di stirare in due settimane venerdì 11 ottobre 2013, ore 18.30, alla libreria Pagina12, corte Sgarzarie 6/a, Verona (centro storico). Al termine, un piccolo rinfresco con vini offerti dall'azienda vinicola Bonaventura Maschio.


sabato 22 dicembre 2012

"Mr. Smith". L'autore, il libro

L'autore

Dario Giansanti è nato a Viterbo, dove tuttora vive, il 12 febbraio del 1967. Era l'epoca in cui il boom economico si stava spegnendo insieme alle illusioni di un'intera generazione, mentre le prime contestazioni cominciavano a scuotere il mondo. Gli uomini si facevano crescere le basette, le donne accorciavano le gonne. I figli dei fiori predicavano gioie psichedeliche e libero amore. I Beatles erano all'apice della loro carriera. Il grande Kubrick lanciava il suo capolavoro. In TV venivano mandati in onda gli episodi di Star Trek e intanto gli astronauti passeggiavano davvero sulla Luna!
Non dice mai parolacce, Dario Giansanti. È melanconico, logorroico, insicuro, sbadato, distratto, timido, goffo, trasandato, pettegolo, polemico e noioso, almeno a detta dei suoi migliori amici (figuriamoci gli altri!). È essenziale nel vestire, addirittura senza stile: non porta nemmeno l'orologio. Tira battute che capisce solo lui, lasciando tutti quanti imbarazzati e perplessi. Gli amici li sceglie tra chi ha una scintilla di follia nello sguardo. Porta una barbetta mal sagomata, che sistema una volta al mese, ma non è una regola. È casalingo e pantofolaio, ama gli agi e le coccole ed è pigrissimo. La cosa che sa fare meglio, però, è perder tempo.
Legge di tutto: dai drammi elisabettiani alla poesia mistica musulmana, dai minnesingheri ai feuilleton ottocenteschi, dai diari delle dame di corte giapponesi ai più attuale romanzi postmoderni. Una volta leggeva tantissima fantascienza, interesse che continua a coltivare ancora oggi, anche se ne è raramente soddisfatto. Ciò che ama sopra ogni cosa, però, sono le leggende e i poemi epici di ogni tempo e paese. Vive nelle cosmogonie babilonesi, nei poemi greci, nelle cupe saghe nordiche, nelle fantasiose razzie irlandesi, nella magica epica finnica, nei cicli cavallereschi, nelle immense epopee indiane e persiane, tra i miti dell'estremo oriente e della Polinesia. Una piccola parte di questo materiale sta confluendo, con molta lentezza, nel sito Bifröst, da lui creato, che segue e cura personalmente, insieme a un pugno di agguerriti collaboratori.



Il libro

D: Tu sei il primo vincitore della prima edizione del Premio Maledizioni: te lo aspettavi?

R: Assolutamente no, anche visto il cospicuo numero di opere giunte in redazione. Degli altri partecipanti conosco personalmente soltanto Daniele Bello, che è riuscito lo stesso a strappare un contratto per il suo ottimo romanzo Hoenir il druido. Sono comunque onorato di aver aperto la serie dei vincitori dell’ambito riconoscimento.

D: Cosa pensi di questa iniziativa?

R: Un premio letterario è sempre un'ottima vetrina, sia per lo scrittore professionale, sia per l'esordiente. Nel caso del Premio Maledizioni vi erano poi due altre ottime ragioni per partecipare. La prima, naturalmente, è che Fabio Larcher, direttore della PerSempre, è uno dei più attenti conoscitori italiani di letteratura fantastica, lui stesso autore fantasy piuttosto apprezzato. Si può dunque star certi della professionalità nella valutazione delle opere. La seconda ragione è che, in luogo di un’arida tassa di iscrizione, la PerSempre chiede simpaticamente l’acquisto di un libro dal proprio catalogo: proposta irresistibile per un vorace lettore come me, che ne avrebbe acquistati indipendentemente dal concorso.

D: Mr. Smith va in vacanza è certamente un libro “atipico”, nel quale, spesso, le apparenze ingannano... a cominciare dal sottotitolo che classifica il romanzo come un “omaggio a Robert Sheckley” e dalla tua postfazione che lo “riduce” addirittura a un centone di citazioni sheckleyane. Modestia o è sfuggito qualcosa al nostro comitato di lettura? Quanto di originale e quanto di “plagiato” c'è nel tuo romanzo?

R: Come fa notare giustamente Umberto Eco, i libri si parlano tra loro. La prima stesura di Mr. Smith è stata scritta in un’epoca in cui non disdegnavo di citofagare e centrifugare le opere dei miei autori preferiti, e il grande Robert Sheckley era uno di questi. Qualsiasi scrittore sa bene quanto tutto ciò faccia parte del gioco letterario (e si pensi per esempio ai bellissimi pastiches di Philip José Farmer). A livello formale, possiamo considerare Mr. Smith come un’espansione di un semiobliato racconto di Sheckley, Viaggio organizzato, presente nell’ormai storica antologia Giardiniere di uomini (Urania 604). Ma al di là delle citazioni, che attingono un po’ a tutta l’opera sheckleyana, rimane il fatto che il romanzo alla fine esprime soprattutto il mio gusto e le mie idee.

D: Dalla lettura di Mr. Smith va in vacanza si evince che sei (oltre che un bravo scrittore) un lettore vorace e attento. Raccontaci com'è nata la scintilla che poi è esplosa nella realizzazione di questo romanzo stravagante ma assolutamente godibile.

R: Nessuna scintilla! Il romanzo prese vita in maniera assolutamente casuale, infilando un foglio di carta nel rullo della macchina da scrivere e procedendo per puro accumulo di situazioni. So che può sembrare un modo assai poco professionale di lavorare, ma Mr. Smith era una cosa scritta per mio divertimento. Qualche anno dopo, ritrovandomi tra le mani una bel po’ di cartelle incentrate sulle avventure terrestri di questo svampito turista alieno, capii che potevo anche trarne qualcosa di buono. Ho riscritto il romanzo almeno dieci volte, nel corso degli anni, conferendogli pian piano una sua logica e una sua filosofia, per quanto folli. In Mr. Smith c'è quello che potremmo chiamare un equilibrio tra fulminea intuizione e lunga, lenta meditazione. Scusate se è poco.

D: Perché Mr. Smith va in vacanza dovrebbe piacere ai lettori, secondo te? Quali sono i suoi punti di forza nelle intenzioni dell'autore? Magari, come succede spesso, non saranno gli stessi che hanno condotto la giuria a premiare il tuo romanzo e neppure gli stessi che faranno presa sui lettori.

R: Chi ha letto Mr. Smith ha trovato le ragioni più diverse per farselo piacere (o per detestarlo). 

D: Nel tuo romanzo metti in campo una miriade di punti di vista, ma tu, Dario Giansanti, hai un tuo “punto di vista”? Hai pensato a un messaggio da lanciare attraverso il nostro caro signor Smith? Oppure il tutto si riduce al puro divertimento colto e che ognuno trovi il messaggio che più gli garba?

R: La cruda verità è che sono io stesso una specie di omino caduto dalla luna, parecchio fuori posto nel normale contesto umano. Mi trovo a osservare il mondo da una distanza incommensurabile, e vedo intorno a me esseri che si agitano senza nesso o ragione, parlano a vanvera, e inseguono valori costruiti a tavolino. Raramente trovo dell’autentica comunicazione. Smith vede gli esseri umani muoversi come automatismi privi di raziocinio; mette in piedi un Ufficio privo di qualsiasi funzione; è circondato da gente completamente incapace di identificarsi con qualcosa di diverso dal proprio ruolo precostituito. In questo romanzo c’è tutto il mio disagio, una rabbia autentica, un vero e proprio senso di ribellione. Quando, a metà libro, Smith diviene un “terrestre” a tutti gli effetti, buon marito e buon padre, è perché si è identificato con un modello imposto dall'esterno. Eppure, per un po’ di tempo, lui è felice.

D: In effetti, Mr. Smith gioca parecchio sul senso del “ruolo”, sul concetto di essere o soltanto apparire. Il protagonista ha acquistato la propria identità di Modesto Ragioniere, ma ha altre identità di scorta, e comunque si limita spesso a simulare i propri comportamenti. 

R: È un argomento complesso, e se qualcuno vuol parlare delle Macchine di Touring, si accomodi. “Caro, fai uscire il cane-robot, non senti che si lamenta?” “Non c’è bisogno, tesoro, sta solo simulando.” Così come Smith non comprende la differenza tra l’amare o il credere di amare, tra un sogno autentico e un surrogato di sogno. A chi mi chiedeva del mio lavoro, una volta rispondevo: “Non sono un libraio, faccio il libraio”. Una differenza sostanziale. Almeno per me.

D: Domanda di rito: hai altri progetti nel cassetto? Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro (se mai la profezia Maya ci concede un futuro)?

R: Stiamo a vedere. Buona parte del mio lavoro, al momento, è dedicato alla mitologia. In breve dovrà anche partire la collana ufficiale del Progetto Bifröst, e sono entusiasta di imbarcarmi in questa nuova avventura. Infine, Claudia Maschio e io riprenderemo presto il fortunato ciclo Agenzia Senzatempo.

D: Bene, ti ringraziamo per averci concesso questa bella intervista. E' sempre un piacere scambiare quattro chiacchiere con un tizio eccentrico come te. Buona lettura a tutti!

R: Eccentrico io? Come se gli altri fossero normali… È stato un piacere anche per me. Per il resto, mi auguro che Mr. Smith regali ai suoi lettori quelle due o tre ore di sano divertimento. È il migliore augurio che posso fare al mio libro e a coloro che lo leggeranno.


Intervista a cura di Francesco Sperelli





Dario Giansanti
Mr. Smith va in vacanza
Edizioni PerSempre
ISBN 9788888583389
Pagg. 211, € 12,00.

Potete trovare il libro nelle migliori librerie, su Ibs, ma più facilmente sul sito Edizioni PerSempre, a questo link

martedì 18 dicembre 2012

E sopra splendeva un cielo stellato

Un romanzo ironico, in un mondo dove è stato dimostrato che Dio non esiste e dove i protagonisti si trovano nella difficile situazione di dover ripensare all'etica partendo dal "basso", con gli inevitabili pasticci che ne conseguono.
Né il commercio di sensi di colpa del Fratello, né quello di coscienze di Immanuel sono sufficienti a risolvere il problema. Anzi, sembra che le cose siano destinate a ingarbugliarsi sempre più.
Sarà nel ricordo del suo amore per Samantha e negli oggetti – il Vocabolario saccente, il Bar Spo(r)t e la Strada – che Immanuel troverà dei preziosi interlocutori, spesso in grado di risolvere con immediata saggezza i quesiti più ingombranti di un'umanità che sembra destinata ad andare alla deriva.




RECENSIONE

Romanzo surreale, com’è nelle corde della sua autrice, ma interiorizzato e ricco di sfumature, dove non solo gli esseri umani, ma anche gli oggetti hanno una voce e una personalità, e contribuiscono a fornire interessanti chiavi di lettura; un romanzo fiabesco, ma che, nei tormentosi dubbi del protagonista Immanuel (nome non certo scelto a caso), ci conduce attraverso le asperità di una ricerca etica tanto estenuante quanto sincera.
Le nostre azioni richiedono una responsabilità personale, diretta; e non mediata da valori morali o religiosi ereditati passivamente. Claudia Maschio vuole che la ricerca di Immanuel parta da zero, e perciò impone, al suo mondo letterario, una premessa tanto semplice quanto tremenda: Dio non esiste. Proprio così. Avete letto bene. È l’irrefutabile, inconfutabile dimostrazione con cui deve fare i conti l’umanità descritta in E sopra splendeva un cielo stellato. Senza una morale imposta dall’Alto, su cosa basare, allora, le norme di un comportamento etico? La nostra umana ragione basta a dirci cosa sia giusto e cosa sbagliato?
Al di là delle mille delizie dell’intreccio, oltre il divertimento, oltre le idee che si succedono vivide come un gioco di arcobaleni, ciò che rimane al lettore è soprattutto la cupa visione di un’umanità disorientata, sconfitta. Un’umanità che, infrante le tradizionali “verità”, si scopre incapace di costruire da sé nuove norme di comportamento. Gli sprezzanti palliativi offerti da Immanuel e dal Fratello, che si mettono a vendere coscienze e sensi di colpa a un pubblico affamato di facili dogmi, suonano ai nostri orecchi quasi come una beffa. Solo il ricordo dell’amore di Immanuel per Samantha, esasperato nella nostalgia e nel rimpianto, continua a mantenere intatti i suoi ideali. L’amore – sembra dirci Immanuel – è l’unica “metafisica” ancora possibile, in un mondo privo di Dio.
Siamo di fronte a un conte philosophique, dunque, e a ben ragione, dato che è proprio la protagonista Samantha – evidente alter ego dell’autrice – a dichiarare che i più grandi filosofi sono proprio i romanzieri. Definizione che mi trova perfettamente d’accordo.

Oliviero Canetti

Visto il tema, un ottimo regalo, adattissimo al Natale!
Potete trovarlo nelle migliori librerie, on line, ma più facilmente sul sito di Edizioni PerSempre, a questo link.

Claudia Maschio
E sopra splendeva un cielo stellato
Edizioni PerSempre
Novembre, 2012
ISBN 9788888583396
Pagg. 164, prezzo € 10,00.


lunedì 1 ottobre 2012

Chiaro di luna


 
Sanira appoggiò il grembiule al bancone del locale. In agosto, non si sapeva quanta gente venisse fagocitata a Verona, vuoi per la stagione lirica, vuoi per andare a sospirare sotto il balcone di Giulietta.
“Neanca dal papa i ghe va in tanti” assicurava la Mariuccia, che ogni giorno era lì di prima mattina per le pulizie. “E tutto per palpar ‘na tetta de bronso! Vuto sentir, Sanira, se non le è mejo le mie, de carne vera?”
La Mariuccia aveva occhi vispi e cosce formose, uno sguardo malizioso che stuzzicava l’appetito. Ma Sanira si era imposto di non darle corda. Essere gentile sì, cosa gli costava? Neppure a un gatto, lui, avrebbe negato un gesto di affetto. E i gatti li detestava. Per quel loro modo ruffiano di essere. Se n’era trovato uno in camera, qualche sera prima. Aveva lasciato la finestra aperta, la mattina, giusto per non ritrovarsi in una sorta di forno, dopo una giornata di lavoro. Cappuccini e brioche all’ora di colazione, per pranzo insalatone e lasagne, spritz aperol all’happy hour, pizze alle diciannove e Cognac dopo le ventidue; e poi tutto invertito, perché i tedeschi funzionavano al contrario, pastasciutta all’ora del cappuccino, dessert al posto dell’aperitivo, una pizza a metà pomeriggio… E lui sempre a correre dai tavoli al bancone, dal bancone alla cucina, senza mai una pausa.
Manisha, oh, cosa avrebbe dato per averla con sé, anche solo una mezzora!
Lei avrebbe saputo come fare con il gatto. Di che razza fosse, Sanira non aveva saputo deciderlo. “Forse siamo tutti una stessa razza” si era detto, lì per lì. Ma aveva avuto troppa paura di quel gatto, gli occhi che illuminavano la stanza, minacciosi, per portare fino in fondo quell’accenno di dubbio che gli era sorto spontaneo. Lo aveva scacciato via, per poi ritrovarsi con un senso di amaro in bocca che, anche a distanza di giorni, non era riuscito ad addolcire. E così aveva lasciato sempre la finestra aperta, nella speranza che quel gatto spelacchiato, randagio quanto lo era lui, un giorno o l’altro facesse ritorno.
Rientrò nel suo piccolo appartamento, Sanira, che erano le tre passate. Per strada aveva trovato Nihal, uno che non aveva mai capito da che parte dell’Asia venisse. Parlava sempre troppo in fretta, e le parole hanno bisogno di scivolare lente, per essere capite. Nihal aveva rimediato una bottiglia. Sanira odiava il Bardolino, ma non aveva opposto resistenza. Un bicchiere e via.
Tanto la mia vita cos’è?
Poi era corso a casa. Nessun gatto. Sulla finestra un piccione, grigio all’ombra della notte. Sanira andò ad accendere il pc. Cestinò le mail pubblicitarie, gli inviti a mostre e convegni letterari. Ma quando mai avrebbe avuto tempo per cose simili? E finalmente trovò la lettera di Manisha. Il piccolo dormiva – quando verrai a conoscere tuo figlio, Sanira? – lei era stata alzata a lungo, si era anche fatta bella, sperando che potessero vedersi in web cam, ma alla fine era crollata. Qui ogni giorno è difficile, Sanira, quanto lo è per te lì. Domani resisterò più a lungo. Non smetterò mai di aspettarti. Ayu bowan.
Nulla è più silenzioso di una lacrima che se ne esce all’improvviso, la lacrima inattesa, imprevedibile, quella che, sfuggendo al controllo, apre un solco di pensieri nuovi, sentieri spalancati sul mai considerato.
Sanira cercò di immaginare come si fosse vestita sua moglie. Ricordava i denti di avorio, le labbra sorridenti, il suo modo di camminare, la pelle profumata di sole e cioccolata, i grandi occhi che lo facevano precipitare in una voragine di mistero.
Vederla oltre lo schermo, vicina e insieme lontana, presente eppure irraggiungibile, gli procurava una lacerazione dell’anima. Molto meglio indulgere tra ricordi e fantasie, spogliarla con l’immaginazione e amarla nel sogno. Domani glielo avrebbe raccontato, domani nessuno gli avrebbe impedito di giungere a casa in tempo.
Volse lo sguardo al davanzale. Il piccione era volato via. Oh, perché si era scordato di legargli alla zampa un messaggio di amore? Forse non lo avrebbe portato fino in Sri Lanka, ma che importava? Tutti abbiamo bisogno di parole, di condividere quel poco e insieme tanto che siamo.
Un passo felpato sulla finestra, e il miagolio del gatto, simile a uno stridere dell’archetto su corde di violino.
Sanira avrebbe voluto chiedergli tante cose. Come faceva a sopravvivere in un mondo dove nessuno si prendeva cura di lui? Forse una compagna lo aspettava lontano, una graziosa micetta, con gli stessi occhi misteriosi di Manisha.
Il randagio balzò dentro, strusciò il pelo contro la sua gamba e andò ad accoccolarsi sul letto. Non c’era bisogno di parole. La luna piegò la sua falce a illuminarlo di riverberi argentei.
Sanira si stese accanto a lui, gli carezzò il pelo arruffato, e lasciò la mente vagare oltre la finestra, su verso il cielo sconfinato, dove tutto quel che accade quaggiù diventa piccolo come una capocchia di spillo.


Raccontino ispirato al mio amico Sanira e letto a Porta Vescovo (Verona) domenica 30 settembre in occasione della manifestazione "Stranizza d'amuri", con il meraviglioso accompagnamento musicale di Massimo Rubulotta.
 

sabato 14 aprile 2012

Ordinarie farneticazioni

Claudia: - Tocca proprio?
Dario: - Pare di sì.
Claudia: - Non verrà nessuno, è anche previsto pioggia. Al massimo, i soliti quattro gatti...
Dario: - Tutti parenti e amici.
Claudia: - Mi basterebbe che venissero almeno loro!
Oliviero: - Io vengo.
Dario: - Lo dici sempre, ma io non ti vedo mai, alle nostre presentazioni.
Oliviero: - Però avrai notato una pianta di ficus, in fondo alla sala. Ebbene, quella pianta, sono io.
Claudia: - Mai visto una pianta di ficus, alle nostre presentazioni!
Oliviero: - Potresti giurare che non ci fosse?
Claudia: - No, ma...
Oliviero: - Ecco.
Dario: - A me, una volta, sembra di aver visto qualcosa di vegetale...
Claudia: - Non lasciarti condizionare: erano le tartine agli asparagi.
Oliviero: - Ci saranno tartine agli asparagi, alla presentazione della Scandinavia vichinga?
Claudia: - Forse, non so, devo ancora prepararle.
Oliviero: - Se non ci sono, non vengo.
Dario: - Le piante di ficus non mangiano tartine.
Oliviero: - Vero, ma andiamo ghiotte per quelle agli asparagi.
Claudia: - D'accordo, tartine agli asparagi, poi non lamentarti per l'odore della pipì.
Oliviero: - Le piante di ficus non hanno un apparato urinario.
Dario: - Di norma, non dovrebbero neppure parlare.
Oliviero: - Di norma, gli scrittori che stanno per presentare un loro libro non dovrebbero essere così disfattisti.
Claudia: - La fai facile tu. Io sono timida, mi agita parlare in pubblico.
Oliviero: - Non avevi detto che ci saranno giusto quattro gatti? Se il vostro romanzo è scritto da cani, li fate scappare di corsa.
Dario: - Spiritoso! E se il nostro romanzo fosse scritto da serpenti?
Oliviero: - Per strisciare sotto i quattro gatti?

Oh, per carità, via da queste assurde farneticazioni! Scusate, amici, non leggete quel che c'è scritto sopra, partite da qui.
Da qui, capito?
Dario ed io, venerdì 20 aprile, parleremo, con orgoglio smisurato, vantandoci come delle dive dell'avanspettacolo, del nostro ultimo romanzo, Agenzia Senzatempo - Viaggio irreale nella Scandinavia vichinga.
Snobberemo, di regola, ogni domanda che ci verrà posta, perché siamo fatti così, compatiteci, se potete.
Alla fine, dopo che avrete stoicamente reso omaggio alla nostra prosa, un aperitivo con i vini gentilmente offerti dai miei cugini Andrea e Anna Maschio, nonché una marea di tartine agli asparagi.

Dario: - A me gli asparagi non piacciono.
Claudia: - Ne facciamo anche al prosciutto, al salame, ai gamberetti... Oh, basta, non ne posso più!
Oliviero: - Hai dimenticato la locandina.
Claudia: - Tocca sempre pensare tutto a me... Eccola!




Alla presentazione - stanti le tartine agli asparagi - sarà presente anche l'esimio professor Oliviero Canetti, che ha firmato - tra tanti saggi e articoli assai più prestigiosi - anche la presentazione della mia sceneggiatura A due passi dalla morte del sole.

N.B. Sono graditi gatti (anche in numero superiore a quattro), cani, serpenti e sono ammesse, previa esibizione di un documento di riconoscimento, anche creature aliene, come elfi, giganti, nibelunghi, commercialisti e avvocati.